Veronica Pirola

Italiano Articolo Pubblicato in Art Magazine Tecnemedia scritto da Veronica Pirola il 30 maggio 2007 in occasione della mostra personale "Mirupafshim, Shadows of Voices".. Link articolo originale

Venera Kastrati – Mirupafshim, ombre di voci
"Se in “7 passi…”, un piccolo teatro delle ombre realizzato tra il 2004 e il 2005, Venera Kastrati (Tirana – Albania, 1975) raccontava l’incontro tra suo padre e sua zia avvenuto nel 1991 in seguito alla caduta della dittatura in Albania dopo quarantatré anni di separazione, nella sua nuova serie di lavori, “Mirupafshim, ombre di voci”, ricorda quando nel 1978 la sua famiglia ebbe l’opportunità di rivedere Zyrafet, la zia che con la sua telefonata e soprattutto con la sua voce aveva già ispirato la video-performance “Kosovo” del 1999. Attorno a questo evento straordinario, ottenuto solo grazie a una tregua diplomatica, l’artista costruisce un nuovo mondo popolato da figure fantastiche, riuscendo a sfruttare al meglio le potenzialità espositive della galleria situata in una suggestiva vecchia fornace.

Lo spazio, infatti, viene suddiviso in cinque stanze dove, ad eccezione della prima, è sempre possibile ascoltare il suono di alcune voci registrate all’epoca durante il rito di commiato tra la famiglia dell’artista e la zia. All’interno di questo dialogo, i cui protagonisti intonano canzoni kosovare d’emigrazione o per il partito, come “Tu sei il mare”, prima di arrivare a congedarsi dicendo “Mirupafshim”, che in albanese significa arrivederci, si può individuare anche la voce dell’artista bambina che canta alcuni brani popolari, tra cui la canzone per l’eroe Abdyl Frasheri o la filastrocca per la città di Agirocastro. Il viaggio, che conduce così lo spettatore nel vivo della storia personale di Kastrati, inizia in uno spazio diviso dal resto della galleria: è la “Stanza dell’attesa”, dove è rimasta solo l’ombra di chi, seduta su una sedia, stava aspettando di incontrare i propri parenti. Si passa, quindi, all’interno della galleria vera e propria per entrare nella “Stanza dell’incontro tra presente e passato”.

Qui il silenzio è rotto da una registrazione in albanese incisa su un vecchio registratore a bobine che, accompagnato da un video fatto di ombre che si avvicendano intorno a un tavolo, rievoca il tema del viaggio, dell’emigrazione e della memoria. Il pubblico può capire tutto quello che viene detto durante l’incontro tramite una traduzione che scorre sul video di uno schermo posizionato all’ingresso di questo primo vano e affiancato da una serie di disegni di piccolo formato su carta che ritrae l’artista all’età di tre anni durante la “storica riunione” dei suoi parenti. Si prosegue per la “Stanza della Riflessione”, dove sono riproposti alcuni elementi incontrati precedentemente: il tavolino con due sedie già visto nel video è installato su una parete e altri particolari, come le ombre, le sedie e il vestito con la stella rossa indossato dall’artista, vengono riprodotti in alcune fotografie che si aprono come nuovi scenari nel buio del passato, rischiarato anche da elementi floreali dalla forte tonalità rossa simile a quella della macchinina già utilizzata nel video.

Segue la “Stanza della fuga”, occupata solo da un pannello trasparente sospeso in aria su cui è proiettato un video in cui l’ombra di una donna tenta per tre volte e con esiti differenti di fuggire attraverso un muro di carta. Si arriva così alla fine della storia con la “Stanza della separazione”: su un piccolo letto di legno appeso al muro di un ambiente lungo e stretto, quasi un bianco tunnel, sono riprodotte le ombre di un uomo e di una donna che si salutano dandosi la mano. L’intimità dell’incontro, quindi, si esaurisce con quest’ultima installazione, riportando lo spettatore dal microcosmo dei sentimenti che appartengono a ogni individuo alla realtà del distacco.

Sospesa in una dimensione tra nostalgia e immaginazione, Kastrati lascia così fluire le proprie emozioni che si concretizzano attraverso differenti mezzi espressivi, tutti necessari per raccontare la complessità della propria identità a partire dalla storia delle sue origini. Una scelta di contenuti e linguaggi che non hanno motivazioni di carattere politico, ma che l’artista spiega così: “Ciò che mi interessa oggi è l'essenziale. L'invisibile che è presente. L'immagine parlante, senza necessità di parola. Le cose apparentemente incompiute che la memoria collettiva tende a completare. La trasformazione psicanalitica sociale e individuale. L'eguaglianza quale desiderio onirico. La ricostruzione della memoria perduta. E infine ogni energia che ti coinvolge e che crea un nuova forma di vita”.